Il proprietario di Trony acquista FNAC: il crollo di un marchio, la svendita dei lavoratori, la dignità dei librai

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DPS Group, l’azienda italiana proprietaria dei marchi di punti vendita elettronici/elettrodomestici Trony e Sinergy ha acquistato dal fondo d’investimento Orlando Italy i cinque punti vendita rimasti in vita di FNAC Italia. L’accordo – si legge in una nota pubblicata da Reuters  – “è subordinato all’autorizzazione del giudice del tribunale fallimentare, prevede il pagamento di un affitto del ramo d’azienda di Fnac Italia a decorrere dall’ammissione di Fnac Italia alla procedura di concordato preventivo e l’acquisto dello stesso ramo condizionatamente all’omologa del concordato preventivo”. Siglato lo scorso venerdì, interessa i punti vendita di Verona, Napoli, Milano, Torino, Genova. Sono chiusi invece dallo scorso gennaio i punti di Roma, Firenze e il secondo di Torino. Sotto la proprietà del gruppo multinazionale francese PPR Group FNAC Italia contava a metà 2012 592 dipendenti, di cui circa una sessantina hanno lasciato il posto di lavoro in coincidenza con la crisi del gruppo, e 300 sono stati messi in cassa integrazione straordinaria in coincidenza con la chiusura dei punti vendita. Il DPS Group ha dichiarato che l’operazione di acquisizione creerà esuberi per circa il 30% dell’attuale forza lavoro che conta attualmente – secondo quanto affermato dai nuovi proprietari – 312 dipendenti. In pochi mesi, dunque, sono rimasti o rischiano di rimanere senza lavoro circa 4 dipendenti su 5.

fnac scioperoQuella di FNAC è una storia finita in modo triste. Il marchio storico di librerie francesi – fondato negli anni ’50 del secolo scorso da due militanti trotskysti, André Essel e Max Théret – comprato nel 1993 dal PPR Group di Hénri Pinault, proprietario fra gli altri di Gucci, Alexander McQueen, Bottega Veneta, Puma – ha vissuto  negli anni ’90 un apice che in breve tempo lo ha portato ad affermarsi come riferimento del consumo culturale in tutta Europa, e anche in alcune città (Napoli, Milano, Torino, Verona, Genova in particolare) d’Italia, paese in cui è approdata nel 2000, divenendo in breve tempo presso il grande pubblico la catena culturale per eccellenza, il luogo in cui rifornirsi di libri, dischi, videogiochi, prodotti elettronici. Gli ultimi anni avevano visto, secondo una tendenza generale che in quest’ultimo biennio di crisi ha peraltro colpito in modo particolare le librerie di catena, un calo degli affari, tale che a inizio 2012 il management del gruppo aveva dichiarato che non c’erano più le condizioni per investire in Italia. Non che in Francia (il core market dell’azienda) fosse tutto rose e fiori. A marzo 2012 aveva fatto scalpore la notizia che alcuni dipendenti avevano sequestrato per ore il direttore di nove librerie FNAC parigine, dopo una difficilissima riunione in cui ai lavoratori era stata negata la richiesta di blocco di un piano tagli. In Italia non si è mai arrivati a situazioni così drammatiche, ma da settembre 2012 in poi, deciso che avevano aspettato fiduciosamente in silenzio fin troppo, i 600 dipendenti hanno iniziato a mobilitarsi in prima persona, cercando di richiamare l’attenzione sulla loro situazione in occasione della Vogue Fashion Night Out della moda milanese, durante la quale tanti marchi del gruppo PPR erano ovviamente sotto i riflettori. “Per questo Gruppo noi dipendenti FNAC contiamo meno di un foulard“, aveva dichiarato in quell’occasione un dipendente milanese intervistato da Bibliocartina. Nonostante le manifestazioni, gli scioperi, i numerosi appelli in rete e non solo, la direzione PPR/FNAC ha risposto per mesi con il silenzio ai suoi dipendenti, fino all’annuncio, a fine novembre 2012 mentre già l’atmosfera nei negozi era di dismissione, della cessione del ramo d’impresa al fondo d’investimento Orlando Italy, con la nomina del liquidatore Matteo Rossini. Per una certa fase Orlando Italy ha provato a dare l’impressione di avere alcune idee su come rilanciare FNAC. In realtà era un modo per profumare la doccia fredda: mentre l’azienda dichiarava di voler “preservare il valore del business mantenendo in continuità l’attività di impresa”, ipotizzando modelli ‘shop-in-shop’, l’unica cosa certa è che 300 dipendenti, più di metà dell’organico, passavano da febbraio alla cassa integrazione straordinaria, e che tre punti vendita venivano chiusi: Roma, Firenze, Torino. Alcuni lavoratori si erano nel frattempo già licenziati, sono iniziate come sempre avviene le divisioni, si sono cercate soluzioni individuali, chi voleva incrementare la lotta si è scontrato con chi non era disposto; malumori, speranze, sono stati raccontati per mesi in una pagina Facebook che ha raccolto l’interesse solidale (per quanta solidarietà possa passare da un ‘mi piace’) di migliaia di persone.

Oggi i sindacati continuano a provare a vertenziare, ma oltre quello, com’è ovvio, non vanno: non sanno, non possono. Nel frattempo i negozi vivono uno stato di declino e abbandono crescente: all’inizio di aprile, a Napoli decine di clienti infuriati si sono rivolti alle autorità perché il negozio del Vomero non accettava più come strumento di pagamento le carte soci e carte prepagate FNAC, molte delle quali caricate con centinaia di euro. “La società è in liquidazione”, la scusa, ma continua a vendere quel che è rimasto in negozio e ad accettare pagamenti come prima, senza un avviso, furbescamente. “Un furto in piena regola”, secondo tanti clienti. Intanto gli scaffali si svuotano, il senso d’inutilità e fatalità cresce, ma i lavoratori non ci stanno a che finisca così. Sempre a Napoli, come raccontano le cronache locali, i dipendenti hanno inventato un escamotage: alcuni misteriosi grandissimi lettori (Remo La Barca, Dolores De Pans) inoltrano cospicui ordini al magazzino milanese FNAC per farsi recapitare i libri a Napoli e rifornire così gli scaffali del proprio negozio. L’unico modo per continuare a mantenere, come librai, una certa dignità: far sì che fino all’ultimo giorno chi si rivolge a loro per  leggere, possa leggere.

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