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Il futuro delle librerie. Enrico: “Spazi di lettura in digitale e cooperazione tra librai, superando le rigidità mentali”

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Il dibattito su presente e futuro delle librerie è più che mai attuale tra gli operatori del settore e non solo. Bibliocartina ospita oggi un intervento di Massimiliano Enrico, ” coach per autori e scrittori, consulente informatico specializzato in BPM (anche per case editrici) e game designer per case editrici specializzate e per il marketing aziendale; da sempre interessato al mondo dell’editoria in tutte le sue forme ed alle nuove tecnologie”.

Mercato eBook: l’Italia seguirà le stesse tendenze in atto negli USA? Negli Stati Uniti leggono il 78% delle persone, in Italia il 49,7%: sono possibili confronti?

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Quali differenze e quali analogie ci sono fra i lettori di quello che il mainstream di settore considera il mercato di riferimento per l’editoria – gli USA – e i lettori italiani? In Italia la “rivoluzione” come in tanti la chiamano degli eBook appare per il momento più strillonata che reale; confrontando dati CENSIS recentemente divulgati con quelli diffusi dall’AIE (Associazione Italiana Editori) in occasione della fiera del libro di Francoforte, il mercato degli eBook pur in grande crescita su se stesso (più 740% tra il 2011 e il 2010, 12,6 milioni di fatturato complessivo nel 2011) rappresenta ancora appena lo 0,38% del mercato librario complessivo italiano, e la percentuale di lettori di eBook rappresenta soltanto il 2,7% (nel 2007 era superiore: il 2,9%) della popolazione, mentre scende allo 0,7% la percentuale di coloro che hanno letto almeno 3 eBook in un anno. Cifre nettamente differenti da quelle del mercato eBook negli USA, dove legge almeno un eBook l’anno il 21% degli statunitensi.

Tuttavia, le differenze più importanti fra i due paesi risiedono nella composizione antropologica dell’universo dei lettori. In Italia la fascia dei lettori più forte, quella dei giovani (tra i 14 e i 29 anni) è quella che è crollata di più, dell’11% in un solo anno. Oggi leggono almeno un libro l’anno il 57,9% dei giovani tra 14 a 29 anni, negli USA legge l’83% dei giovani tra 15 e 29 anni e in generale legge almeno un libro l’anno il 78% delle persone*, contro il 49,7% in Italia (6,5% in meno rispetto all’anno precedente: si sono persi all’incirca 700mila lettori in un solo anno). Appare abbastanza evidente che ogni tipo di previsione nei confronti del futuro dell’eBook in Italia non può basarsi sui trend in atto negli USA, vista la radicale differenza di diffusione del libro tra le due popolazioni. In base alle statistiche la popolazione italiana sta progressivamente (e rapidamente) abbandonando la lettura tout court, quella statunitense no. 

Nel quadro delle ricerche condotte sui lettori USA, contrariamente a quanto si ritiene l’eReader come dispositivo di lettura è tutt’altro che prediletto dai lettori più giovani, i quali leggono  eBook soprattutto dal PC (55%), dallo smartphone (41%) e solo per il 23% su un eReader, e meno ancora (16%) su un tablet. La fascia d’età con la maggior percentuale dei lettori di eBook è quella dei 30nni (da 30 a 39 anni), dei quali sceglie gli eBook circa il 25%. Altrettanto, negli USA è molto alta la percentuale di under 30 che frequenta le biblioteche (il 60% circa). 

 

*Fonte: Pew Research Center’s Internet and American Life Project. Indagine condotta su un campione rappresentativo di 2986 persone. Margine d’errore del 2,2& circa.

Londra: a ottobre la British Library si occupa delle donne scrittrici, editrici e libraie del Rinascimento italiano.

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La British Library londinese si occupa di editoria italiana, e ci riporta all’epoca del Rinascimento. Grazie al lavoro di Brian Richardson, professore di Lingua Italiana all’Università di Leeds,  le “Panizzi Lectures” (dedicate al nome del famoso bibliotecario italiano Antonio Panizzi, emiliano, che fu direttore nell’800 della biblioteca del British Museum), approfondiranno il tema del ruolo delle donne scrittrici e promotrici di cultura all’epoca del Rinascimento Italiano. Un ciclo di letture che può fornire elementi di conoscenza interessanti sulla storia della letteratura italiana, specie considerando che fatta eccezione per alcuni sintetici trafiletti in cui sono nominate ad esempio Gaspara Stampa (nell’immagine un suo ritratto) o Vittoria Colonna, nei libri di scuola che insegnano la storia della letteratura italiana del Rinascimento (e non solo) le donne sono in realtà del tutto assenti.

La prima conferenza avrà per titolo “La circolazione dei libri”, ed è prevista per oggi. Ci si chiederà: come facevano le donne a far circolare i propri testi nel corso del Rinascimento? Quali comunità, quali circuiti adoperavano le scrittrici dell’epoca? Che ruolo aveva il mecenatismo? Nel secondo appuntamento il prossimo 22 ottobre “Produrre e vendere libri”, ci si chiederà invece fino a che punto riuscivano le donne a partecipare della produzione libraria dell’epoca, del ruolo dei conventi come luoghi di scrittura e vendita dei libri, e del ruolo in questo senso di suore e laiche. Nell’ultimo appuntamento, infine, si parlerà dell’accesso ai libri e alla lettura da parte delle donne dell’epoca, dalla commissione di libri scritti su misura, alle forme di prestito, compravendita e dono che vigevano all’epoca.

Di Brian Richardson in Italia è stato tradotto da Anna Lovisolo e pubblicato da Sylvestre Bonnard nel 2004 il titolo Stampatori, autori e lettori nell’Italia del Rinascimento. Non ancora tradotto in italiano, invece, il volume del 2009 Manuscript Culture in Renaissance Italy. Attualmente Richardson sta curando un progetto di ricerca sull’intreccio fra cultura orale, manoscritto e stampa nell’Italia premoderna. 

La British Library ospita più di 150 milioni di libri con 3 milioni di nuovi arrivi l’anno e titoli con più di 3000 anni di vita, fra i quali la famosa Magna Carta inglese, quaderni di appunti di Leonardo da Vinci, la prima copia del Times e le bozze delle canzoni dei Beatles. Ogni giorno è frequentata da circa 16mila persone.

Google, accordo con gli editori americani per la pubblicazione in digitale delle opere fuori stampa. “Ma l’infrazione del diritto d’autore rimane”, e la class action degli autori americani contro il colosso di Mountain View va avanti

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Google e l’Association of American Publishers, l’associazione degli editori americani, hanno raggiunto un accordo amichevole per la pubblicazione in digitale sulla piattaforma Google Play delle opere fuori stampa ma tuttora coperte da diritto d’autore. L’accordo chiude una disputa lunga sette anni, iniziata quando Google avviò la cosiddetta digitalizzazione delle Biblioteche sul portale Google Books, includendo però in tale progetto anche opere editoriali fuori stampa ma coperte dal diritto d’autore, e quindi soggette a restrizioni nella pubblicazione. In realtà “la questione dell’infrazione al diritto d’autore da parte di Google non viene affatto risolta da questo accordo”, come ha afferma Paul Aiken, direttore dell’associazione Authors Guild che per anni ha affiancato gli editori nella causa contro Google. “A Mountain View (la sede di Google) si continua a far profitto senza versare un centesimo di diritti agli autori”. La class action intentata dagli autori per l’infrazione dei diritti d’autore da parte di Google va quindi avanti, mentre con gli editori l’accordo raggiunto prevede che saranno gli editori a scegliere se mantenere o meno sulla piattaforma le proprie opere fuori stampa e coperte dal diritto d’autore, e se sì, riceveranno una copia digitalizzata dell’opera a carico di Google che sarà in vendita tanto sulla nuova piattaforma Google Play, quanto sugli altri canali che gli stessi editori disporranno.

Per gli editori che hanno partecipato alla causa – McGraw-Hill, Pearson, il gruppo Penguin, John Wiley & Sons e Simon & Schuster – il vantaggio dell’accordo sta nella possibilità di ricevere gratuitamente il lavoro di digitalizzazione di opere fuori commercio che probabilmente non sarebbero mai divenute eBook se non fosse stato per Google. Per Google, si allarga invece il parco libri commercializzabili su Google Play e soprattutto, si ottiene accesso a quelle opere da una parte fuori commercio, e dall’altra coperte dai diritti. I libri compresi in questo accordo saranno disponibili per il 20% in anteprima su Google Play, e quindi messi in vendita.

L’accordo sostanzialmente non interviene, dal punto di vista legale, sull’infrazione da parte di Google del diritto d’autore, che è la questione che sta più a cuore agli autori. Certo è che se finora autori ed editori rappresentavano sostanzialmente uno stesso fronte della causa contro Google, oggi tale fronte appare più spaccato, e se gli editori dovessero far mancare il sostegno nel prosieguo della causa all’Authors Guild, dimostrare che Google ha sfruttato per anni opere coperte dal diritto d’autore senza versare un centesimo ai titolari del diritto potrebbe risultare più difficile per gli autori. Il tema è peraltro ulteriormente reso difficile dalla spinosa questione delle “opere orfane”, quelle opere coperte da diritto d’autore ma i cui titolari risultano irreperibili, nonostante tanto le case editrici quanto gli uffici pubblici (per esempio il Copyright Office statunitense, sorta di corrispettivo dell’italiana SIAE) dovrebbero occuparsi di tenere costantemente aggiornati i registri dei detentori di diritti d’autore.

San Felice sul Panaro: riapre la biblioteca comunale dopo il terremoto. “Questa è nata nel 1873 come biblioteca popolare, e oggi è di nuovo la popolazione a sostenerne la rinascita”.

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Articolo di Sara Crimi – Immagini di Claudio Lanzoni

Si chiama BiblioPark, ed è il nuovo progetto della biblioteca comunale di San Felice sul Panaro, uno dei comuni colpiti dal sisma che ha devastato la Bassa emiliana lo scorso maggio. L’appuntamento era stato fissato per sabato 1° settembre, ma è stato annullato per pioggia, il che tuttavia non ha impedito a una quindicina di persone di presentarsi lo stesso per un saluto e due chiacchiere. Ieri si è replicato: inaugurazione ufficiale con l’Assessore alla Cultura, Giulia Orlandini, la bibliotecaria Cristina Picchietti e la scrittrice Barbara Baraldi, che pubblica – fra gli altri – con Mondadori e Einaudi ed è molto amata dai lettori italiani, europei e americani del genere fantasy e noir.

Le persone arrivano alla spicciolata, si guardano intorno, prendono posto sulle sedie sistemate sotto al gazebo: si respira un’aria familiare, si conoscono tutti, è evidente che sono felici di ritrovarsi e ritrovare un punto di incontro importante.

Scambio due chiacchiere con Giulia Orlandini. Di lei mi colpiscono anzitutto la giovane età e la determinazione. Mi spiega che la biblioteca, un edificio in cemento armato composto da un auditorium e dalle sale con le raccolte, è stata parzialmente lesionata nei piani superiori e che si stanno facendo le necessarie valutazioni per la messa in sicurezza. È presto per parlare di preventivi, denaro e tempi, ma i progetti ci sono e il Comune è intenzionato a portarli a termine al più presto, perché, in una cittadina come San Felice che ha perso tutti i punti di riferimento culturali (sono crollati il teatro e la Rocca, dove si organizzavano eventi musicali e mostre di pittura e fotografia, e molto altro) la biblioteca rappresenta un luogo cruciale per l’aggregazione, l’incontro, lo studio e il tempo libero per tutta la popolazione (la biblioteca aderisce al progetto “Nati per leggere” rivolto ai bambini, le sue sale di lettura e l’emeroteca erano frequentate dagli adulti, mentre i giovani e gli studenti si avvalevano del servizio di  consultazione e prestito, prestito inter-bibliotecario ed ebook). All’indomani del sisma del 20 maggio, spiega ancora Orlandini, la città ha vissuto un mese “in trincea” e tutti si sono impegnati al massimo per riorganizzare le necessità essenziali della cittadinanza; gli impiegati comunali sono stati comandati al COC, il Centro Operativo Comunale, spesso in ruoli diversi da quelli consueti. Non per questo si è persa di vista la situazione della biblioteca, tanto che l’Assessore si è rivolta a due volontari che avevano costruito una casetta di legno per l’AUSER e ha chiesto loro di realizzarne un’altra. Oggi, grazie al lavoro gratuito di queste due persone, nel giardino antistante l’auditorium (da qui, il nome BiblioPark) sorge un’accogliente casetta di legno verniciata e decorata.

Con Barbara Baraldi parliamo di libri, di memoria, di luoghi che non esistono più. Ci parla del rapporto di sincerità emozionale con i lettori, che riconoscono nei suoi libri se stessi e i propri riferimenti geografici, di come, a seguito del terremoto, si sia attivata una fitta rete di solidarietà mossa dal sentimento di “comunanza”, che tutti spiegavano con la frase “sarebbe potuto accadere anche a noi”. Per Barbara, la scrittura è il simbolo di qualcosa di più grande, e di rinascita: ci racconta di come abbia revisionato le bozze del suo ultimo romanzo di notte, in auto o in tenda, di come il lavoro di scrittrice l’abbia aiutata a elaborare l’esperienza traumatica, proprio come accade con i lettori che, oggi, si riappropriano della loro biblioteca. 

La parola passa alla bibliotecaria Cristina Picchietti che, visibilmente emozionata, riassume in poche frasi gli ultimi mesi: ringrazia tutte le persone che l’hanno aiutata, a partire dall’Assessore che le ha concesso di lasciare il lavoro al COC per occuparsi del recupero del patrimonio librario, i volontari che, ogni giorno, hanno lavorato con lei al reperimento dei cartoni nei quali classificare i libri, i costruttori della casetta di legno, i colleghi del CEDOC che hanno fornito un computer. La biblioteca, ci spiega, nasce nel 1873 come “biblioteca popolare”, dalle donazioni dei cittadini, non stupisce dunque che, a quasi un secolo e mezzo dalla sua fondazione, siano di nuovo i cittadini a sostenere la “loro” biblioteca. Una volta recuperato il patrimonio librario, Cristina l’ha catalogato secondo il sistema Dewey e riposto in scatole di cartone, che ha sistemato nell’auditorium. Mi porta a vederlo, e resto stupefatta davanti a questo teatro con i libri al posto degli spettatori. Mi indica una scatola e mi racconta che pochi giorni prima una ragazzina è andata a chiedere un Flaubert, “lo devo leggere per la scuola”; adesso ci vuole circa mezzora per reperire un volume, ma la studentessa è stata fortunata, perché il libro che cercava “era sopra alla pila”. Nella casetta di legno è riuscita a sistemare 3000 volumi, una rappresentanza di ogni sezione (narrativa, ragazzi, ricerca…); mi racconta che, quando le hanno comunicato che avrebbe avuto 16 metri quadri a disposizione, ha tracciato delle linee sul pavimento per rendersi conto dello spazio effettivo e ha cominciato a fare le prove di sistemazione, come un geometra alle prese con un progetto. “La biblioteca”, conclude, “non è solo un contenitore di libri, è un luogo di incontro importante, e i cittadini hanno dimostrato di averla a cuore”.

Intervista a Romano Montroni – Parte II: “Il mestiere del libraio è tutt’altro che finito, finché si vorranno vendere libri non si potrà mai fare a meno di librai capaci”

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Pubblichiamo la seconda parte dell’intervista a Romano Montroni autore di “I libri ti cambiano la vita” per Longanesi Editore, dopo la prima parte già pubblicata stamattina, che verteva innanzitutto sul libro presentato questa mattina anche al Festivaletteratura di Mantova. Oltre al Montroni autore del libro, abbiamo infatti interrogato anche il Montroni libraio, da più di 10 anni fra l’altro docente anche della Scuola per Librai Umberto ed Elisabetta Mauri dal 2006 consulente per le Librerie Coop, catena di librerie legata al gruppo della grande distribuzione, presente al momento soprattutto nel Nord Italia.

C’eravamo lasciati con un interrogativo. Come fare per instillare nei non-lettori, così numerosi in Italia,  il gusto della lettura? Montroni ha le idee chiare sul tema. “L’abitudine, il gusto, il bisogno di leggere si acquisiscono da bambini, è la scuola il primo e fondamentale veicolo di amore per la lettura. Quella che occorre è una vera e propria didattica per il riconoscimento del valore dei libri, eppure chiediamoci: quante sono in Italia le biblioteche scolastiche in uso? Se non c’è una biblioteca funzionante neanche al Liceo Galvani di Bologna, che è uno dei licei più storici d’Italia dove ha studiato addirittura Giosué Carducci, che cosa dobbiamo immaginare che avvenga nel resto delle scuole italiane?” Non va meglio nelle famiglie, d’altra parte: “i bambini e i ragazzi hanno bisogno di crescere tra i libri, una casa senza librerie è una casa senza stimoli per un bambino.

La crisi dei lettori e della lettura in Italia si intreccia inevitabilmente a quella dell’editoria, eppure Montroni non condivide il pessimismo vigente sul destino segnato dei rumori del libro. Anche a lui infatti abbiamo chiesto se è vero che il mestiere del libraio sia destinato a scomparire, ma la risposta netta è “no, affatto. Al contrario, le vicende anche recenti del mercato librario ci hanno insegnato che il mestiere del libraio, checché si faccia leva oggi sulla tecnologia, è insostituibile e lo sarà sempre, fin quando si vorranno vendere libri.” Montroni cita il caso della catena di megastore britannica Waterstones, proprietaria in Gran Bretagna e in Europa di circa 320 punti vendita per un totale di 4.500 dipendenti. “Waterstones fallì quando fu acquisita da persone che trattavano i libri esattamente come un prodotto qualunque”, racconta l’autore bolognese, “e viceversa ha iniziato a riscattarsi in poco tempo da quando il magnate russo che l’ha acquisita – il miliardario Alexander Mamut, ricco investitore nell’industria dei media internazionale – ne ha affidato la direzione a un libraio indipendente specializzato, che a Londra era titolare di 6 librerie indipendenti. James Daunt”, questo il nome del libraio, “ha puntato su quattro elementi fondamentali”, spiega Montroni: “in primo luogo, la formazione dei librai, una formazione permanente. Un libraio non andrebbe mai confuso con un commesso d’abbigliamento, un libraio è un artigiano che confeziona i suoi negozi con un lavoro più simile a quello di un sarto, o se volete di un salumaio d’altri tempi, che non certo a quello di un addetto cassa.”

In secondo luogo, alla base del riscatto di Waterstones, azienda che Montroni considera un ‘case study‘ da manuale per il mercato librario, c’è stato “il ricambio dell’intera classe dirigente alla ricerca di una maggiore competenza professionale. In terzo luogo, la cura dell’assortimento: nessun punto vendita è uguale a un altro, in base alla città o al quartiere in cui si trova l’offerta di libri cambia, ed è giusto che sia così. Le librerie tutte uguali non funzionano. In quarto luogo infine, il libraio nei loro punti vendita è un suggeritore – qui il discorso si riallaccia dunque all’intervista pubblicata stamattina – che niente meno, scrive su dei bigliettini a mano i suggerimenti sui libri da leggere.”

Il caso Waterstones spiega, per Montroni, che non c’è affatto contraddizione tra un approccio “artigianale” al libro e alla vendita dei libri e cifre e volumi di vendita da colossi economici.  “Tutt’altro, solo lo spirito imprenditoriale e l’intraprendenza creativa oggi possono salvare le librerie. I librai indipendenti generalisti che si accontentano di lasciare i libri in vendita in modo passivo, quelli sì hanno fatto il loro tempo. Bisogna imparare a usufruire delle innovazioni anche tecnologiche che sono emerse in questi anni – e che ad esempio permettono a un  libraio di avere sott’occhio l’assortimento in modo ben più rapido e preciso di un tempo – senza rinunciare allo spirito originario del mestiere.

Questo approccio è lo stesso, dice Montroni, “che utilizziamo nelle Librerie Coop per cui da qualche anno sono consulente. Formazione permanente, non meno di una volta al mese, assortimento personalizzato, e valorizzazione della forza vendita. Guai a chiamarli commessi: sono librai, professionisti a tutti gli effetti. E i numeri ci danno ragione: se il settore scende di non meno del 10%, nell’ultimo periodo presso le Librerie Coop le vendite sono aumentate del 3%.”

Considerazioni, quelle di Montroni, per tanti versi affini a quelle di Marino Buzzi e Rosa Addeo già pubblicate nei giorni scorsi, ma con una sfumatura di ottimismo e di fiducia in più nel futuro del loro mestiere. Ad ascoltarlo non sembra né grigia, né nera, né rossa.