Bibliocartina ieri ha interpellato Antonio Bagnoli, amministratore unico e direttore editoriale di Pendragon Edizioni, in merito a un suo intervento su Facebook sul ruolo degli stagisti in una casa editrice, nel quale l’editore comunicava la volontà di non avvalersi più delle convenzioni accademiche per tirocinio, a causa di un “movimento d’opinione che vede tutti coloro che accettano “lavoratori” non pagati come strozzini pronti ad arricchirsi sulle spalle delle competenze ed energie dei giovani in cerca di occupazione”.
Abbiamo rivolto al patron di Pendragon alcune domande cui Bagnoli oggi risponde, riportiamo qui sotto l’intervista integrale:
Domanda: Perché ha messo la parola “lavoratori” tra virgolette, nel suo commento, riferendosi agli stagisti?
Risposta: L’ho fatto per amore di precisione: credo che gli stagisti siano infatti delle persone che stanno completando il loro percorso formativo osservando, testando e verificando direttamente come avviene il lavoro. Per questo mi pare giusto usare il virgolettato.
D: Perché tanto livore, evidente nelle sue parole, nei confronti degli stagisti, fino al punto di decidere di non collaborare più con le istituzioni accademiche per accogliere tirocinanti in redazione?
R: Mi spiace che si sia visto del livore, evidentemente mi sono espresso male (era piuttosto una battuta: mai pensato di scrivere libri con gli errori!). La scelta – momentanea – di non accogliere più stagisti (scelta condivisa da editori concittadini del calibro del Mulino, Zanichelli ecc.) è dovuta a una serie di fattori: spazio, opportunità ecc. ecc. e, non ultimo, l’atteggiamento di cui parleremo nella prossima domanda.
D: Quali sono, secondo lei, le ragioni per cui “circola un movimento d’opinione” che vede “gli editori come gentaglia che sfrutta il lavoro altrui?
R: Gli editori, come tutti gli operatori economici che operano in campo culturale, sono in difficoltà economiche. Tra questi ci saranno senz’altro personaggi che arrivano a sfruttare il lavoro di finti stagisti. Credo, permettetemi di dirlo, si tratta davvero di una minoranza. Evidentemente però fanno più notizia loro di tutte quelle centinaia di colleghi che offrono la loro struttura e la loro professionalità come luogo di formazione. E quindi, su internet come sulla stampa, si nota una giusta levata di scudi contro questa modalità, che è invece stata l’unica che ha permesso a tanti giovani di “saggiare” sul campo la loro capacità.
D: Quale può essere, secondo lei, la giusta soluzione al problema del lavoro nel settore editoriale? Non le sembra, a maggior ragione per le considerazioni che fa sulla scarsa preparazione dei tirocinanti a fronte della presunzione che lei lamenta, che ci sia nel settore editoriale una eccessiva sproporzione tra numero di stagisti e tirocinanti e numero di reali professionisti? E non crede che una delle condizioni necessarie per crescere come professionisti, in qualunque mestiere, sia poter svolgere il proprio lavoro in condizioni di serenità e di dignità, che non sono, tipicamente, quelle di uno stagista medio italiano?
R: Questa domanda mi spiega perché il mio post ha suscitato il vostro interesse: evidentemente sono ignorante su come avvengono molte cose al di fuori del mio orticello. Infatti la mia conoscenza poggia su basi diverse. Nella mia realtà non ho mai avuto più di due stagisti per volta, e la durata media del loro impegno è stata di tre mesi. Posso garantirle che questo tempo, nel nostro settore, non basta nemmeno a capire i rudimenti del mestiere, mestiere che si impara con anni di pratica. (Le faccio un veloce esempio: il famoso master di Eco in editoria dura due anni, di cui sei mesi di stage. Alla fine del percorso di studi – estremamente specializzato – i ragazzi hanno i rudimenti del mestiere). Pensare che gli stagisti sostituiscano la forza lavoro di una casa editrice è sinceramente assurdo: lei si fiderebbe di far correggere delle bozze di un libro (magari importante) a chi non l’ha mai fatto? O far fare l’editing di un romanzo a un giovane alle prime armi? Per questo scrivevo su Facebook che accogliere uno stagista è un costo per una casa editrice: il lavoro che svolgerà, dovrà sempre essere ricontrollato da un professionista finito. Mi trovo totalmente in accordo con lei sull’ultima domanda: per crescere occorre serenità e dignità. Evidentemente non so – davvero – quali siano le condizioni di uno stagista medio italiano. Quelli con cui sono entrato in contatto – a parte l’ovvio desiderio di trovare una collocazione lavorativa al più presto – non mi sono parsi in condizioni così disagiate.
D: Non crede dunque che in Italia gli stagisti andrebbero meglio retribuiti, come avviene nella maggior parte dei paesi europei, in modo da potersi formare sul campo in condizioni di serenità e di dignità?
R: Qui ho bisogno di capire meglio la sua domanda: io non credo che per le aziende lo stage debba sostituire il lavoro. Quindi le formule di “stage pagato” sono delle storture che coprono una sorta di sfruttamento. Credo che le opzioni siano due: o sono io che insegno qualcosa (come nel caso dello stage), e allora di pagamento non ha senso parlare. Oppure sono io che utilizzo il lavoro di una persona, e quindi la pago. Quanto la persona debba essere pagata è discorso diverso: libera contrattazione? Contratti collettivi? Non so, non sono un giuslavorista. Ma di fondo la separazione mi pare necessaria: “stage pagato” è una contraddizione in termini (che, personalmente, non ho mai usato).
D: Concludendo: sappiamo tutti che l’editoria è in crisi in questo paese. Non crede che sia anche perché il lavoro editoriale in Italia si basa sullo scarso riconoscimento del valore delle persone che lavorano, prima ancora che delle figure professionali che lo popolano?
R: Purtroppo no. Non credo che se gli editor, i redattori, i commerciali e tutte le figure tecniche che lavorano nella filiera editoriale avessero maggiori riconoscimenti (sia economici che professionali) il settore funzionerebbe meglio. La verità è che in questo paese la lettura non è incentivata in nessun modo, come invece avviene all’estero; e quindi si comprano meno libri, e quindi c’è crisi… Vorrei fare un’ultima precisazione, importante. Nel mondo editoriale esistono decine di diverse mansioni: rappresentante, magazziniere, editor, traduttore, redattore, addetto stampa, commerciale ecc. ecc. È chiaro che per ognuna di queste il percorso formativo e le opportunità sono diverse. Per alcune di queste, uno stage non ha nessun senso; per altre non basterebbe di un anno. Credo sia una distinzione di cui bisognerebbe tenere conto.