FNAC, in Italia 600 lavoratori a rischio. “Non vogliamo che la nostra professionalità sia liquidata. Per il gruppo PPR contiamo meno di un foulard”.
Sarà l’ALCOA del mercato del libro? La storia dei lavoratori FNAC in Italia non è ovviamente paragonabile a quella degli operai del Sulcis sardo per mille ragioni, eppure le similitudini non mancano. La prima è che in entrambi i casi stiamo parlando di centinaia di persone in mobilitazione in questi giorni: i dipendenti FNAC hanno infatti inscenato una visibile protesta la settimana scorsa in occasione della Vogue Fashion Night milanese, e replicheranno le loro manifestazioni il prossimo 13 settembre a Roma e il 18 settembre a Firenze. Protestano contro il silenzio del gruppo multinazionale PPR, proprietario del marchio FNAC e di tutti i suoi punti vendita nel mondo, che ha annunciato lo scorso gennaio che “in Italia non sussistono le condizioni per continuare il business e che una decisione definitiva sarà presa entro l’anno”; trascorsi nove mesi da quell’annuncio, l’azienda non ha ancora comunicato alcun tipo di orientamento né di decisione ai lavoratori sul loro imminente futuro. Bibliocartina.it ha intervistato Giuseppe, dipendente FNAC da 12 anni, uno dei 600 lavoratori che a breve rischiano “di ritrovarsi da un giorno all’altro per strada senza essere stati minimamente messi in condizione di sapere, di scegliere, di prendere le nostre decisioni con cognizione di causa.
“Il gruppo PPR che possiede FNAC è attivo nel settore del lusso, possiede grandi marchi della moda quali Alexander McQueen, Balenciaga, Bottega Veneta, Gucci ecc.”, spiega Giuseppe. “Ecco perché abbiamo deciso di inscenare la nostra protesta in occasione delle Vogue Fashion Night: la nostra opinione è che ci sia una grande multinazionale che mentre si vanta degli ottimi risultati economici ottenuti nel settore lusso, dismette un intero ramo del gruppo, guarda caso quello che riguarda l’attività culturale, senza dire neanche una parola. Ci sentiamo anche un po’ feriti, come lavoratori e professionisti, dal fatto che colui che in teoria sarebbe anche il “nostro” presidente parli di utili qua, di nuovi investimenti di là, facendo finta che non ci siano 600 persone che dall’oggi al domani potrebbero rimanere senza lavoro. A oggi infatti non abbiamo ricevuto alcuna offerta di reintegro in altre aziende del gruppo PPR né altro tipo di prospettiva alcuna”, dice Giuseppe. “Teniamo presente che stiamo parlando di un’azienda che fino a due anni prometteva grandi investimenti, il raddoppio del numero dei dipendenti, l’apertura di 15 store. Da gennaio a oggi, invece, la realtà dice che almeno 100 persone si sono licenziate, spinte proprio dai silenzi che non promettono niente di buono. Ma sappiamo bene che i consumi culturali sono in crisi, e reinserirsi nel mercato del lavoro non è comunque facile per noi”. Il gruppo FNAC, dai dati che ci fornisce Giuseppe, fattura circa il 3% del mercato nazionale nel settore librario, e si colloca “al terzo posto tra le grandi catene librarie del paese, dopo Feltrinelli e Mondadori.
I dipendenti FNAC hanno in media 30/32 anni, uomini e donne in misura pari, in molti casi sono laureati, si occupano di mansioni varie non solo nel punto vendita, e sono nella stragrande maggioranza dei casi dipendenti a tempo indeterminato, CCNL del commercio. molti di loro attivi in FNAC dal giorno dell’apertura in Italia. Una fotografia della forza lavoro che dimostra effettivamente la volontà passata di investire e crescere nella penisola, che stride con quella attuale. I negozi si trovano a Milano, Torino (due punti vendita), Genova, Verona, Napoli, Roma, Firenze. FNAC si è fatta conoscere in Italia innanzitutto come libreria e come negozio di dischi, in realtà si tratta di grande distribuzione del consumo culturale a tutto tondo, dalla letteratura alla musica, ai videogiochi, alla fotografia alla tecnologia. “Il nostro lavoro ha una valenza culturale e sociale”, sostiene Giuseppe. “Negli anni abbiamo allestito mostre ed eventi, in particolare in campo musicale e fotografico ci siamo dedicati allo scouting di nuovi talenti, abbiamo organizzato presentazioni di libri e dibattiti culturali, non siamo grandi magazzini generici ma centri culturali a tutti gli effetti, con una clientela affezionata e curiosa. A Milano c’è anche la redazione web del sito italiano, c’è la logistica centrale, ci sono alcuni ruoli di management che però sono a rischio come tutti gli altri. Negli ultimi nove mesi i segnali di imminente dismissione sono stati tantissimi, gli investimenti sono stati bloccati, non lavoriamo più a pieno regime. Anche i clienti se ne accorgono e rimangono perplessi: come offrire loro la migliore assistenza, se tra due mesi forse non ci saremo più? C’è aria di chiusura imminente, ma al tempo stesso nessuno che lo dica, che ci faccia capire che cosa avverrà davvero tra tre mesi”.
La situazione di incertezza di questi ultimi nove mesi ha portato i lavoratori FNAC delle diverse città a ritrovarsi, inizialmente tramite il passaparola, “per organizzare le nostre proteste, richiamare l’attenzione sulla nostra situazione e denunciare la politica aziendale del Gruppo PPR e la sua concentrazione sul mondo della moda, che va di pari passo con la sua indifferenza alla sorte della cultura e di chi in ambito culturale ci lavora, come noi. Non si tratta, al momento, di una protesta sindacale, “perché da un punto di vista sindacale non ci sono vertenze da affrontare, visto che ancora non c’è stata alcuna comunicazione ufficiale. Valuteremo se e come agire anche da quel punto di vista, dopo che sarà stata presa la decisione definitiva.” La situazione FNAC in Italia è d’altra parte anomala anche rispetto a quella della stessa azienda in altri paesi, perché se è vero che il Gruppo PPR attuale proprietario intende cedere il ramo d’azienda, è anche vero che “in altri paesi sono stati adottati piani di ristrutturazione interna che hanno salvaguardato i lavoratori”, ci spiega sempre Giuseppe.
Che cosa auspicano, dunque, i lavoratori FNAC? “Da come sono andate le cose finora, per il gruppo PPR contiamo a quanto pare meno di foulard. Noi però non ci stiamo a che la nostra professionalità e la nostra esperienza all’interno del gruppo vengano sminuite e liquidate, letteralmente, in questo modo. Vogliamo invece che siano valorizzate: auspichiamo e chiediamo una ristrutturazione aziendale e una soluzione che salvaguardi FNAC e la sua storia, le sue persone, in questo paese. Siamo gente che ama il suo lavoro e che crede in ciò che ha fatto in questi anni; vorremmo continuare a farlo al meglio.” Cosa possono fare i clienti e tutte le persone e i lavoratori solidali con i dipendenti FNAC per sostenerli? “C’è una pagina su Facebook che si intitola “Salviamo FNAC“, che in pochi giorni ha ottenuto mille e più sostenitori e questo ci fa capire che non siamo soli”. E ci sono le prossime iniziative dal vivo che abbiamo già ricordato: il 13 settembre a Roma, e il 18 settembre a Firenze, in occasione delle Vogue Fashion Night.
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FNAC, in Italia 600 lavoratori a rischio. “Non vogliamo che la nostra professionalità sia liquidata. Per il gruppo PPR contiamo meno di un foulard”. | Librotondo | Scoop.it
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[…] Leggi dentro l'intervista a Giuseppe, lavoratore FNAC di Milano. […]
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Lasciare Fnac non vuol dire lasciare la Fnac: Salviamo Fnac |
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[…] dalle premesse: io sono una di quelle cento persone che negli ultimi mesi si è licenziata da Fnac. I motivi sono diversi: ho voluto scommettere su un […]
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